Chiara: “Io invece penso di essere più una sognatrice”


 

Chiara ci trasmette l’importanza di imparare a pensare a noi stessi, per avere una vita piena e felice.

Parlaci un po’ di te, chi è Chiara?

Ciao, mi chiamo Chiara e ho 29 anni anagrafici e 19 anni diabetici. Sono di Salerno (Italia) e amo la vita, il mare lo sport e l’arte. Le altre persone mi descrivono come una persona solare, io invece penso di essere più una sognatrice: anche nei momenti difficili cerco di trovare il lato positivo perché credo che la positività porti solo cose positive ( anche se so che nella realtà non è proprio così, per questo sognatrice..) e che essere negativi conduca solo alla tristezza e ti renda cieco difronte alla bellezza che ci circonda in tutte le piccole cose.

Quando e com’é arrivato il diabete alla tua vita? Come sono stati i tuoi primi passi in questo nuovo mondo?

Il diabete è arrivato nell’aprile del 2003, quando avevo 10 anni  e la risposta a “com’è arrivato” è sempre : all’improvviso. Perché nonostante i numerosi sintomi, una malattia cronica è sempre qualcosa che non vorresti avvenisse mai e quindi non ci pensi. Nel mio caso io ero una bambina quindi è ovvio che non ci pensassi, e in quelle settimane in ospedale ( o forse di meno ma a me sembrò un tempo infinito) sono cresciuta all’improvviso.

Ricordo il mio esordio come un brutto sogno con alcuni elementi molto lucidi e altri invece sfocati e confusi.  Avevo avuto una forte influenza e qualche tempo prima gli orecchioni e mi sentivo sempre debole (successivamente ho scoperto che in quella fase avevo avuto una mononucleosi di cui il pediatra non si era accorto e che molto probabilmente , anche se non è certo, è stata la mononucleosi  non curata a portare il mio sistema immunitario ad attaccare il pancreas).

Ricordo che mi svegliavo ogni notte più volte per andare in bagno e bevevo tantissimo, ma la cosa che ricordo di più è la telefonata del medico a mia madre e lei che preparando una borsa con il pigiama con una fretta surreale, mentre piangeva mi disse: “Chiara dobbiamo andare a Napoli a fare una visita” e io non capivo perché per fare una visita mi servisse il pigiame e perché lei piangesse.

Poi ricordo confusamente la corsa al policlinico di Napoli e lì mi misurarono la glicemia che era intorno ai 600 mg/dL con glicata sopra i 13. Non mi diedero nemmeno il tempo di capire e ai miei continui “ Mamma voglio andare a casa” ricordo le parole del diabetologo che senza alcuna delicatezza mi disse “forse non hai capito: se te ne vai, Muori!”. La degenza che sembrò infinita in quella stanza di ospedale che sembrava una progione, fu traumatica in particolare per due episodi:

– nel letto o meglio, nella culla, di fronte al mio c’era una bambina di poco più di un anno a cui avevano diagnosticato diabete e celiachia e mi ricordo di aver pensato, dopo che mi avevano spiegato che con il diabete non potevo mangiare più dolci ( all’epoca, era ancora diffusa questa credenza in molti ospedali ) e che lei non poteva mangiare nemmeno il pane, che era ingiusto che lei non avrebbe mai potuto assaggiare la ciococlata e tutti i dolci che invece avevo provato io.

– Il secondo episodio è riferito proprio alla cioccolata perché era il periodo di Pasqua e in ospedale venne a trovarci un prete con in dono per noi delle uova di cioccolato che ci dissero che potevamo mangiare. Mi sembrò un sogno dopo aver mangiato solo 3 fette biscottate ogni giorno e il cibo insapore della mensa.. peccato che erano completamente senza zucchero e quindi un morso a quella cioccolata mi fece l’effetto opposto a quello desiderato perché pensai che nella vita avrei dovuto mangiare solo cose così disgustose per sempre e scoppiai a piangere.

I primi passi ovviamente furono molto difficili, ma come ho già detto io crebbi in un secondo quindi mi responsabbilizai subito. I miei genitori mi hanno sempre fatto sentire normale e mi hanno aiutato tantissimo nell’accettazione di una malattia che loro non potevano nemmeno capire.

Mi ricordo che mio padre per paura che le siringhe mi facessero male le provò prima di me nei vari siti di iniezione ( ovviamente senza insulina) e mi insegnarono subito a farle da sola perché “ devi saperlo fare anche quando non ci siamo noi”. Si informavano tantissimo e credo che per loro l’inizio sia stato tanto difficile quanto per me.

Il diabete è una malattia che colpisce tutta la famiglia e anche i T3 si trovano catapultati in un mondo nuovo pieno di preoccupazioni: era difficile mandarmi a scuola, dover spiegare tutto alle maestre, essere sempre in apprensione di notte per paura che non mi accorgessi della glicemia bassa.

Tutto è migliorato quando hanno trovato un centro diabetologico più “moderno” nel modo di pensare, dove i medici ci fecero capire l’importanza della gestione delle glicemie e che in effetti non serviva che mangiassi senza zucchero ma anzi potevo mangiare tutto e fare sport normalmente. Mi introdussero alla conta dei carboidrati e organizzarono campi scuola con altri ragazzini diabetici. Non posso dire che loro mi hanno aiutato nell’accettazione della malattia, perché quello è avvenuto dopo l’adolescenza e ognuno lo accetta da solo, ma sicuramente i medici e gli infermieri di questo nuovo centro mi hanno aiutato tantissimo a impostare la mia vita nel verso giusto.

Cosa ti piacerebbe modificare della vita con il diabete? E cosa ti ha insegnato questa vita con il diabete?

Beh, ovviamente mi piacerebbe che trovassero una cura e che tutto sparisse, ma in realtà avere il diabete mi ha insegnato molto. Io ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che mi ha sempre premesso di fare tutte le esperienze possibili e così, crescendo con il diabete, ho sbagliato tanto e ho imparato tantissimo, soprattutto ad ascoltare il mio corpo. Ho imparato che possiamo fare tutto, ma dovremmo essere noi stessi a capire quando limitarci e quando fermarci anche se viviamo in una società che è costantemente di corsa e che impone obiettivi irraggiungibili.

Questo è importantissimo da capire non solo per chi come me ha una malattia cronica e quindi dei “limiti” fisici, ma anche per una persona normoglicemica. Se riesci a capire che per raggiungere l’obiettivo che ti sei prefissato forse devi limitarti in qualcosa in quel momento, allora trovi la chiave per una vita più serena.. capisci quando devi fermarti in situazioni di stress, capisci quando devi pensare prima a te stesso e poi a tutto il resto e capisci che tutto quello che pensavi di non poter fare in realtà puoi farlo benissimo, ma con il tuo tempo e quando sei al meglio delle tue forze.

Questo il diabete te lo insegna benissimo perchè in tutto quello che facciamo dobbiamo pensare prima a noi stessi, prima a come stiamo e a controllare la glicemia, e poi anche alle possibili conseguenze di quello che stiamo per fare e a controllare il nostro umore.. Quindi in un certo senso credo che il diabete sia un ottimo allenatore che ti insegna come affrontare il mondo, perché se ti rendi conto che la tua stessa debolezza sei tu, che tu abbia o no un corpo che continua a sabotarti in ogni secondo, e che tu stesso sei la causa dei tuoi problemi, allora puoi trovare il modo di superare qualsiasi situazione che il mondo ti propone.

Hai avuto qualche momento di stanchezza con il tuo diabete? Come lo hai risolto?

Certo che li ho avuti, e continuo ad averli tutt’ora.

Diciamo che il periodo più difficile è stato quello prima dell’accettazione, cioè l’adolescenza. Da adolescente avevo una sorta di rifiuto della malattia: non è che non sapevo come dovevo gestirmi, ma dovevo a tutti i costi dimostrare, prima a me stessa e poi agli altri, che potevo vivere una vita “normale”.. quindi semplicemente fingevo che il diabete non esistesse o che non mi condizionasse: misuravo la glicemia rarissimamente, una o due volte al giorno e ho fatto anche peggio! I miei diari delle glicemie ( che prima andavano compilati a mano) erano sempre dei disastri, di conseguenza andavo pochissime volte alle visite, delle quali avevo un rifiuto perché i medici chiaramente mi “sgridavano” per la mia cattiva gestione.

La tecnologia mi ha aiutato tantissimo in questo e ora con il mio sensore per il monitoraggio continuo ho visto dei miglioramenti impressionanti nella glicata e nella qualità della vita in generale.

Quello che mi ha aiutato a risolvere il periodo dell’adolescenza e del rifiuto sono stati sicuramente i casi in cui mi sono spinta al limite, dove ho capito a mie spese che il diabete è una malattia grave e se non gestita bene, terminale.  In particolare quando vivevo a Roma (studiavo all’università) ho avuto a distanza di poco tempo una chetoacidosi a causa delle iperglicemie, con vomito continuo e successivo ricovero in ospedale, e un’ amnesia temporanea a causa delle ipoglicemie prolungate. Dopo questi due episodi successi quando mi trovavo da sola e quindi non potevo contare sull’aiuto dei miei genitori né dei miei medici, mi sono detta che stavo vivendo ma non stavo riuscendo a sopravvivere, e che dovevo trovare il miglior modo di sopravvivere se volevo vivere una vita normale.

Dopo questi casi, di crolli emotivi e momenti di stanchezza con il diabete ne ho avuti di meno, ma comuqnue continuano ad esserci ed ho capito che è inevitabile quindi lascio che succedano e va bene così. La gestione di una malattia così imprevedibile è tanto pesante e, nonostante gli sforzi per controllarla e quelli per nascondere la difficoltà e mostrarci forti agli altri, prima o poi le spalle cedono sotto quel peso. E’ normale che sia così ed è anche terapeutico che ci sia un crollo ogni tanto: non possiamo gestire tutto senza conseguenze e se la conseguenza è un pianto liberatorio o una giornata giù, non vedo perché dobbiamo privarcene se poi ci aiuta ad alzarci di nuovo e a continuare con un po’ più di forza. Sicuramente quello che aiuta in questi casi è la presenza di qualcuno che capisca la tua difficoltà, un T3 a cui sei riuscita a spiegare una minima parte di quello che passi e che sia lì ad abbracciarti nei momenti di sconforto… oppure anche la bellissima community online di t1 che ti fornicsce supporto morale anche da lontano .

Oltre al diabete, cosa ci puoi raccontare della tua vita?

Sto vivendo un momento positivo nella vita, finalmente dopo aver vissuto fuorisede per studio/lavoro, sono tornata nella mia amata Salerno dove ho trovato casa con il mio fidanzato Vincenzo, dopo 10 anni di relazione a distanza. Quindi come si dice qui “teng o cor dint’ o zuccher” (“ho il cuore nello zucchero”) ..a proposito di diabete!

Nella vita io sono una lighting designer e una designer industriale. Quando ho deciso di voler essere una designer il mio obiettivo era di migliorare la vita delle persone e non è un caso che la mia tesi di laurea si sia concentrata proprio intorno al diabete, che chiaramente fa parte della mia vita e ne conosco le difficoltà per chi vi si approccia specialmente da piccolo ( se vi interessa potete vedere il mio progetto di tesi, qui:  https://www.behance.net/gallery/46359957/CHILD-SIZE-DIABETES La tesi è del 2014 quindi quando ancora i sensori per il controllo della glicemia e i device che usiamo non erano così diffusi né tantomeno adatti a tutti).

In generale però, ho scelto questo lavoro perché sono un’amante della bellezza e intendo sia la bellezza artistica, sia la bellezza funzionale, ma anche la bellezza che si trova nei piccoli dettagli e nelle piccole cose che accadono ogni giorno. Credo che accorgersi della bellezza migliora la vita e quindi adesso con il mio lavoro di progettista della luce cerco di far percepire a tutti la bellezza che ci circonda , illuminando gli spazi, le architetture, l’arte…

Cosa vuoi trasmettere con questo tuo sito? Quando e per che lo hai creato?

La pagina D-Side è nata inizialmente come completamento di un mio progetto di crescita personale:

fin da subito il mio approccio al diabete non è mai stato di vergogna, nonostante i medici e tutti gli altri pazienti mi dicessero di “nascondermi” quando facevo l’insulina e la sensazione di essere in qualche modo “non funzionante” fosse sempre con me. Sono cresciuta con la consapevolezza di essere diversa, ma con la voglia di dimostrare che avrei potuto vivere la vita che volevo oltrepassando questa difficoltà. Con il tempo ho realizzato che era proprio la mia ‘debolezza’ a rendermi più forte ed è per questo che oggi non ho paura di mostrare il mio “lato D” ( da qui il nome della pagina d-side, lato D[iabetico] ) senza alcun tipo di insicurezza. Lo scopo della pagina è dunque quello di valorizzare e mostrare il mio d-side a 360° sperando di poter aiutare qualcuno che condivide il mio stesso percorso, ad accettarsi per quello che è.

Poi ho trovato il modo di tradurre in un prodotto questo concetto e ho iniziato a realizzare bracciali per il sensore, principalmente perché odio i cerotti, i segni che lasciano e che dopo un paio di giorni si sporchino e inizino a staccarsi. Ho notato che quando indossavo un bracciale le persone non si approcciavano più al mio sensore con una curiosità negativa provando a indovinare cosa stessi curando ( “per smettere di fumare?” “Anticoncezionale?” “Wi‑Fi portatile?”), ma mi facevano complimenti per il bracciale e così avevo la possibilità di spiegare a cosa serve e come il sensore mi ha cambiato la vita.

Ho trasformato una curiosità negativa in una cosa positiva e quindi ho iniziato a realizzarne di più. Questi braccialetti per me rappresentano un modo positivo di approcciarsi al diabete, che è esattamente lo scopo di questa pagina: così abbiamo un accessorio tutto nostro, indossiamo il sensore con stile e soprattutto mostriamo il nostro LATO‑D SENZA VERGOGNA.

Cosa ti piacerebbe che la societá sapesse sul diabete?

Mi piacerebbe che, visto che il diabete tipo 1 è una malattia purtroppo molto diffusa soprattutto tra i ragazzi, ci fosse meno disinformazione in giro, in modo che i genitori o tutti gli altri T3 non si trovino spaesati ma che conoscano almeno le basi di questa malattia. Mi piacerebbe quindi che tutti quei clichè che esistevano all’epoca della mia diagnosi (quasi 20anni fa) ad oggi fossero superati. Sulla mia pagina, infatti, ho iniziato a raccogliere in una guida tutti i miti che ha la gente sul diabete per sfatarli ad uno ad uno e mi sono accorta che la maggior parte di loro ruota intorno al fatto che non si conosce la differenza tra diabete tipo 1 e tipo 2.

E cosa puoi dire a un/a giovane che é stato/a appena diagnosticato/a?

Gli direi qullo che avrei voluto sentirmi dire io quando mi fu diagnosticato il diabete tipo 1: “ti è successa una cosa brutta, non esiste (ancora) una cura per questa malattia e non sappiamo perché sia succeso proprio a te, ma ti rialzerai, sarai più forte di prima e riuscirai a fare tutto quello che vorrai nella vita. Certo sarà più difficile rispetto agli altri, ma vedrai che il viaggio sarà comunque bello e pieno di soddisfazioni, e i tuoi sforzi varranno molto di più degli altri! Ricordati che non sei sol* e ci sono tanti altri come te, e vi potrete sorreggere a vicenda nei momenti difficili.”

Dove possiamo trovarti nelle reti sociali?

Su Instagram, la mia pagina si chiama @d__side e sto pensando di aprire anche un negozietto su Etzy dove vendere i miei gioielli per sensori.

WRITTEN BY ESTEFANIA MALASSISI, POSTED 02/01/22, UPDATED 02/08/22

Mi chiamo Estefanía Malassisi. Vengo da Buenos Aires, Argentina. Mi trovate su instagram principalmente @estefiagos e su instagram @cuidardiabetes di CUI.D.AR Oggi sono una studentessa di medicina, come accennavo prima, sognando di essere una pediatra e una diabetologa infantile. Sono divertente, estroversa, con molto senso dell'umorismo. Mi piace ascoltare musica e stare all'aria aperta. Amo lo sport. Amo passare il tempo con i miei amici e la mia famiglia.