Come un ponte che deve reggere un bel carico, penso che una persona diabetica abbia bisogno di vari pilastri. 


 

Chiara, amante del crossfit. Convinta che l’amor proprio sia la chiave di molte cose nella vita, oggi ci racconta la sua storia con il diabete.

Com’é arrivato il diabete alla tua vita? Come sono stati i tuoi primi passi in questo nuovo mondo?

Il mio esordio è stato il 24 giugno del 2002. I ricordi sono pochi, quasi annebbiati, ma penso che per una bambina di 7 anni sia giusto così. 

Non ho avuto una diagnosi come quelle comuni: tanta sete, tanta pipì o stanchezza. Avevo solo le ghiandole ingrossate che mi davano fastidio. Fu dopo le analisi delle urine che la pediatra capì come intervenire. E non si sbagliò: diabete di tipo 1. 

Fin da súbito iniziai a farmi l’insulina da sola. Per me fu quasi un gioco, molto schematico: con la glicemia superiore a 80 dovevo fare 1unita di insulina. Sotto gli 80, nulla. Questa fase si chiama “luna di miele” e la mia durò quasi un anno.

Raccontaci un po’ del tuo sito di instagram e cosa possiamo trovare.

La mia pagina Instagram si chiama “nodulcisinfundo”. 

Prima di tutto pero nodulcisinfundo è il tatuaggio che ho sul collo, accompagnato da un simpatico buondì: la glassa di esso è un po’ la mia corazza, il cuore però morbido e ripieno di cioccolato. Mi rispecchia molto.

La pagina nasce come diario. È il mio spazio sicuro. Scrivo di com’è vivere con il diabete. I lati belli e i quelli meno belli. Ho smesso di avere paura di mostrarmi. 

A volte ironizzo con meme, a volte scrivo di getto quello che mi passa per la testa. Con il tempo ho scoperto di essere d’aiuto a tanti diabetici e da lì l’obiettivo ancora più grande: essere per gli altri ciò che io avrei voluto avere al mio fianco per tutti questi anni.

Quando e quale è stata la motivazione per crearlo?

Nodulcisinfundo nasce grazie a mia sorella. 

Lei è una psicologa, poliamorosa e attivista. Anche lei, grazie ad instgram ha trovato il modo migliore per esprimersi. 

È stato proprio con lei, una notte, ad inizio lockdown, che ho avuto una brutta crisi. 

Con lei so che posso parlare, mi ascolta e mi aiuta sopratutto in questi momenti bui. 

Dopo questa lunga chiacchierata abbiamo capito il punto focale: le restrizioni, la paura, il non avere il controllo su quello che stava accadendo in quel momento nel mondo mi ha portato a rivivere ed elaborare quello che è stato il mio esordio. 

Abbiamo trovato un paragone a tutto: il virus era invisibile, come il diabete. 

“Si fa fatica a crederci, dove sono le prove? Da fuori il diabete non si vede, da dentro negarlo è facile. È per questo che la gente continua a uscire. Non si vede. Sembra non ci sia. Qualcuno urla al complotto. 

E più lo si nega, più il corpo si affatica, gli organi si rovinano, fino al collasso. Negli organi sì che si vedono i danni, ma se non guardi gli organi ti sembra di non avere nulla, no? 

Così gli ospedali, che collassano, ma se non ci lavori dentro, se non ci finisci intubato, non hai idea di quanta fatica facciano a non crollare. 

E poi il controllo. Non si può uscire di casa, è vietato. Imposizione che arriva dall’alto, che dovrebbe invece venire da dentro, per senso civico, per responsabilità comunitaria, così come il desiderio di controllarsi la glicemia per non morire di suicidio lento. 

Un’imposizione incontrastabile, che genera frustrazione, che fa venire voglia di trasgredire.”

Abbiamo scritto questo, quella notte. E nodulcisinfundo nasce così. Avevo bisogno di spiegare a qualcuno, che se in quel momento si sentiva così, come me, era legittimato, non era solo. 

Cosa ti piacerebbe modificare della vita con il diabete? E cosa ti ha insegnato questa vita con il diabete?

Quando hai 7, 8 anni, le persone che incontri per strada ti guardano con gli occhi della pietà e ti dicono “vedrai che guarirai”. 

Non so bene quando ho capito che non sarebbe successo. 

E ad oggi, se ci fosse l’occasione, la vorrei solo se  senza nessun tipo di rischio. 

Io e Mr. D, negli anni, siamo diventati amici.

Ad oggi ho imparato ad amare ciò che ho. 

Penso che fino a qualche decennio di anni fa non c’erano tutte le agevolazioni di oggi. 

Ho un sensore che mi rileva la glicemia continuamente. Un microinfusore che si sospende in automatico quando la mia glicemia sta scendendo e aumenta il dosaggio quando la glicemia sale. 

Mi sento privilegiata.

Continua ad essere un lavoro a tempo pieno avere il diabete, ma ho imparato ad apprezzare ciò che ho, invece di maledirlo in continuazione. 

A volte mi chiedo chi sarei, se non lo avessi avuto.

Ma so che il diabete mi ha insegnato tanto, sopratutto a non dare per scontato ciò che mi circonda. 

Quale pensi sia il pilastro più importante per le persone che vivono con il diabete?.

Come un ponte che deve reggere un bel carico, penso che una persona diabetica abbia bisogno di vari pilastri. 

Il primo, deve essere se stess*. Ci ho messo anni per capirlo. Odiavo le persone che mi dicevano “l’accettazione deve partire da te”. Perché ci sono momenti della vita in cui forze non ne hai. Vorresti, ma non riesci. E devi ricordarti che vai bene così. Che non stai fallendo, ma arriverà il giorno in cui davvero riuscirai ad amarti. 

Un altro pilastro fondamentale, a parer mio, è il/la diabetolog*. 

Instaurare un rapporto di fiducia con il proprio medico non è facile, ma è basilare. C’è bisogno di complicità, di amore e comprensione. 

Quando andiamo a fare le visite, avremmo bisogno di qualcuno che ci ricordi che non siamo rotti, che andiamo bene a prescindere. E poi, che ci aiuti a trovare la strategia giusta per affrontare al meglio ciò che ci accade. 

Infine, l’altro pilastro, è la famiglia. I cosiddetti “t3”. 

Loro sono il nostro dietro le quinte, il nostro pancreas.

Sono i genitori che si svegliano in piena notte per misurarti la glicemia, o il fidanzato che ti porta l’ago di ricambio mentre sei a lavoro. O ancora, l’amico che sa che hai la glicemia alta e ti fa compagnia con la Coca Cola zero. 

Loro sono un regalo che la vita ci ha fatto. Andrebbero ringraziati ogni giorno, e spesso ce ne dimentichiamo o li diamo per scontato. 

Soffrono con noi e, l’ho provato sulla mia pelle con un’amica diabetica in iperglicemia, è deleterio sentirsi impotente davanti ad alcune situazioni che il diabete ci mette davanti.

Sappiamo che fai Crossfit, come hai fatto per collegare questo sport, il tuo diabete, le glicemie? Vanno sempre in discesa, a volte in salita?

Ho conosciuto il Crossfit grazie a Marco, il mio fidanzato, non che santo t3.

Mi sono appassionata subito. 

Nel Crossfit rivedo tutta la determinazione che ho sfoggiato in varie occasioni della vita. 

Rappresenta il non mollare mai. 

Il dire “non ce la faccio”, ma farcela sempre, anche se non si sa come.

Non è stato subito semplice la gestione delle glicemie. 

Perché in base agli esercizi che faccio, non sempre la glicemia scende.

Per fortuna sono sempre monitorata con il sensore. Vedo in diretta le mie glicemie, riesco a gestirle e a prevenire le ipo. 

Il mio microinfusore, quando non lo stacco, lo metto in modalità “attività fisica”, in maniera tale che mi aiuta a tenere le glicemie sopra i 130. 

Nel Crossfit il diabete non è un peso. 

Ma una parte fondamentale, in tutto il percorso, l’ha fatta il mio coach. 

Augusto è favoloso. Lo vedo che mi studia, mi osserva, è curioso. 

Viene da me e mi dice “con questi esercizi la glicemia dovrebbe salire. Vediamo che succede”. E poi aspetta a vedere che succede davvero, so che non è una frase di circostanza. 

Anche lui sa che il diabete è imprevedibile. 

Un giorno, sono arrivata in palestra che ero in ipoglicemia. 

Ho bevuto subito il succo di frutta, ma avrei dovuto aspettare che salisse e quindi perdere una parte di allenamento. 

Augusto ha deciso di cambiare gli esercizi di riscaldamento, per far sì che li potessi fare anche io mentre aspettavo che il succo facesse effetto. 

È stato emozionante. 

Con non chalanche mi ha messo a mio agio, non mi ha fatto fare esercizi differenti. Ha fatto sì che gli altri si adeguassero al mio stato di salute in quel momento, senza però farmelo pesare o facendomi sentire diversa. Lo porto nel cuore questo momento. 

Hai avuto qualche momento si stanchezza con il tuo diabete? Come lo hai risolto?

Per stancarti del diabete dovresti prima prendere consapevolezza di averlo. 

Dico questo perché il mio momento di “stanchezza”, è paragonabile alla vita di una persona normoglicemica che non si vuole bene. 

Sono stata per più di due anni, nel 2015, quando vivevo fuori casa, a far andare la basale nel microinfusore senza fare i boli ai pasti. Che poi, a pensarci bene, non c’erano neanche i “pasti”: mangiavo quando avevo fame e non mi preoccupavo se si trattasse di un gelato o un’insalata. Tanto, insulina non me ne facevo.

Non avevo ancora il sensore, anche se la mia diabetologa combatteva per farmelo mettere. Non se ne parlava di bucarmi le dita. 

Saltavo le visite diabetologiche, ma quando andavo, la sera prima la passavo con attacchi di panico e disperazione. Sapevo che stavo facendo qualcosa di sbagliato, ma non riuscivo a comportarmi diversamente. 

Una volta finita la visita, giuravo a me stessa di metterci impegno, di prendermi cura di me. Ma il pensiero scappava dalla mente una volta trovato qualche amico con cui andare a fare aperitivo. E di nuovo la tiritera ricominciava.

Nel 2018 incontrai il buddismo. 

Penso che se sono ancora viva, sia grazie a quello. 

Non sto esagerando, ci ho provato due volte a dire basta. 

La fede mi ha fatto trovare la voglia di avere un futuro. 

Ed io, ogni giorno, mi sedevo davanti alla mi pergamena determinando di essere felice. 

Pregavo per prendermi cura di me, per accettare il diabete e piangevo, mi disperavo perché non sapevo esattamente come potessi farlo. 

Fu nell’aprile 2019 il cambiamento vero e proprio.

Una mattina mi arrivarono le analisi del sangue e lèssi la mia glicata: 10.8.

Chiamai la mia compagna di fede e corsi a casa sua, singhiozzando, con la piena consapevolezza di quanto io stessi trattando male il mio corpo. 

Ci mettemmo a pregare insieme. Ho l’emozione nel cuore anche ora che ci ripenso. 

Andai a lavoro con il cuore più leggero e decisi di farmi un caffè. 

Ci misi la bustina di zucchero. 

Lo buttai e ne feci un altro. 

Ci rimisi lo zucchero. 

Al terzo tentativo ce la feci e capii che quel giorno fu il mio nuovo esordio. 

Mi scrissi sul braccio “sono diabetica”. Perché io seomplicemente me lo dimenticavo. 

Passai 21 giorni senza dolci, senza zucchero e senza alcool.

Poi, iniziai a riinserirli nella mia vita. Piano piano. Con i limiti. Perché era proprio quello il mio problema: limitarmi. 

Da lì, pochi mesi dopo determinai un 8 di glicata e arrivai a 7.2. Oggi ho 5,4 senza ipoglicemia, un 85% nel range e tanta felicità nel cuore. 

Cosa puoi dire a una persona che é stata appena diagnosticata con il diabete?

Mi piacerebbe dirgli che non è solo. 

Che non è rotto. Non è sbagliato. Non è diverso. 

Mi piacerebbe dirgli che io sono qui. Che non deve avere paura nel confrontarsi con gli altri diabetici, ma so che sarebbe solo uno specchio, visto che per 18 anni io non ho avuto nessun rapporto con i diabetici. Scappavo da loro perché avevo paura di essere giudicata. Con loro non potevo inventare scuse. E mi sembravano tutti così felici, così giusto e perfetti. 

Posso dirgli di amarsi tanto. Perché ognuno di noi si merita tanto amore. Di non arrendersi mai, perché ogni giorno, anche il diabete ti da l’opportunità di imparare qualcosa di nuovo. 

E poi, vorrei anche dire una piccola cosa anche magari ai genitori che hanno appena avuto un bimbo con l’esordio. Può essere che ora vediate tutto nero. Il diabete è uno schiaffo in faccia quando arriva e non guarda chi colpisce. Ma si impara a nuotare tutti insieme. Si vince insieme. E il lavoro che farete sarà qualcosa di splendido. 

Dove possiamo trovare il tuo contenuto?

Mi potete trovare su Instagram e Facebook scrivendo “@nodulcisinfundo”. 

Spero però che un giorno mi possiate trovare anche in libreria. Chissà… 

Per chiudere questa bella intervista, abbiamo preso una frase di Chiara per quelli di noi che viviamo con il diabete, che abbiamo amato: Non è solo. Non è rotto. Non è sbagliato. Non è diverso. 

WRITTEN BY Estefanía Malassisi, POSTED 09/20/21, UPDATED 09/20/21

Mi chiamo Estefanía Malassisi. Vengo da Buenos Aires, Argentina. Mi trovate su instagram principalmente @estefiagos e su instagram @cuidardiabetes di CUI.D.AR Oggi sono una studentessa di medicina, come accennavo prima, sognando di essere una pediatra e una diabetologa infantile. Sono divertente, estroversa, con molto senso dell'umorismo. Mi piace ascoltare musica e stare all'aria aperta. Amo lo sport. Amo passare il tempo con i miei amici e la mia famiglia.