La tua vita non è finita: è cambiata, certo, e sta per cambiare in maniera drastica, ma non è la fine di tutto quanto.


 

Valeria, 27 anni, vive con il diabete di tipo 1 dall’età di 13 anni e condivide con noi un po’ della sua vita quotidiana con il diabete.

Cierre: Il diabete arriva senza preavviso, tutti noi sperimentiamo quel senso di sorpresa. Ma capire che sarà un’altra cosa che farà parte della nostra vita, che non ci limiterà e che potrebbe addirittura diventare un impulso ad andare oltre ogni giorno.

Parlaci un po’ di te, chi è Valeria?

Credo che questa sia una delle domande più complicate che mi siano mai state poste: io so  chi sono, e penso di conoscermi, ma spiegarlo è oltremodo complicato. Io /sono/ una persona  complicata, non sempre facile da gestire. “Misuro la mia vita con cucchiaini di caffè, flutes  di champagne e shot di insulina”, recita la mia bio di Instagram, rivisitando una citazione di  T.S. Eliot. Ho 27 anni ma sembro decisamente più piccola,vengo da Roma, sono laureata in  Lingue e Letterature Moderne, e da brava Gemelli ascendente Leone, mi piace parlare, ma a  volte ho trope cose da dire e il flusso dei miei pensieri è troppo caotico e rapido per essere  espresso a dovere.

Sonouna persona estroversa: amo la compagnia di alter persone, e  ricaricole batterie quando sono in mezzo agli altri. Sono testarda ma scarsamente diplomatica: non so nascondere quello che provo, e fare “buon viso a cattivo gioco” è  sicuramente la cosache mi viene peggio. La letteratura inglese è la mia passione, ed è da  questo che ho ricavato il mio nickname Instagram: wutheringvals, da “Wuthering Heights”. 

Un termine onomatopeico, crudo e irruente, che però ben descrive la mia natura impulsiva,  element cardine del mio spirito (sarà colpa della Luna in Ariete). La mia arma principale è il  sarcasmo, anche verso me stessa: sono molto autoironica, lo considero uno dei miei pregi migliori. Vivo tutto troppo intensamente, prendo a cuore tutto quanto, e reagisco in maniera  a volte troppo teatrale e drammatica: col tempo ho imparato a mitigare i lati più spigolosi del mio carattere, ma a volte prendono ancora il sopravvento. Sono un costante work in  progress, ma, tutto sommato, riesco a volermi bene anche così. 

Quando e com’é arrivato il diabete alla tua vita? Come sono stati i tuoi primi passi in questo nuovo mondo?

Ho conosciuto il Diabete T1 a 13 anni da poco compiuti, con esordio il 29 Luglio 2007. La  storia del mio esordio è dolorosa da raccontare, ed è cruda: ho cominciato a stare male  all’incirca alla fine della seconda media, ma sembrava normale, inizialmente: era estate,  faceva caldo, sembrava normale che bevessi molto di più , e che di conseguenza avessi  maggiore bisogno di andare al bagno. Con il passare dei giorni divenne ovvio che niente di quello che stavo passando era normale: continuavo a stare male, i sintomi peggioravano, bevevo litri e litri di acqua e bevande al giorno, poliuria fastidiosa e sempre presente,  perdevo peso quotidianamente, ed ero sempre stanca.

L’iperglicemia mi causava incubi  terribili e vividi durante la notte, e ogni movimento durante il giorno richiedeva sforzi enormi. Purtroppo, alcuni medici e la mia endocrinologa, dalla quale ero in cura per l’ormone della crescita (problema che poi nel mio caso è stato smentito ma che mi ha  comunque portato quattro anni di Zomacton) non diagnosticarono il diabete, minimizzando ciò che mi stava succedendo e additando stress e crescita come cause di tutti quei sintomi. Ma io continuavo a stare male: prima del ricovero sono arrivata a pesare 29 kg, e non  avevo ormai più forze per fare niente.

Cominciai davvero a temere per la mia vita: nessuno aveva capito cosa mi stesse succedendo, ma io ero ben consapevole ci fosse qualcosa che non  andava: consultavo perciò le enciclopedie mediche che avevamo a casa, tentando con la  risolutezza e la disperazione che solo una ragazzina di tredici anni terrorizzata dall’idea di morire possiede, di individuare una causa alla radice di quell che stavo patendo. Poi, una risposta  la trovai ricordandomi di un libro che avevo letto qualche tempo prima, della collana del Club  delle Baby Sitter, in cui una delle protagoniste affetta da diabete di tipo 1 descrive i suoi sintomi all’esordio: erano identici ai miei.

Nel 2007 si parlava e si conosceva davvero poco di diabete  infantile e giovanile al di fuori di un contesto medico, e perciò l’ipotesi si trattasse  effettivamente di quello fu scartata: ero sempre stata sana e forte, ero un’atleta, ero giovane,  nessuno della mia famiglia era mai stato diabetico, e io mangiavo sano. Come potevo avere il  diabete? Poi, una domenica di fine Luglio, arrivò la svolta: i miei genitori mi trascinarono in un  ospedale privato, dove finalmente misurarono la glicemia. 450 mg/dl, ma quell che preoccupava maggiormente era la chetoacidosi. Del viaggio verso il Bambin Gesù di  Roma ricordo il tragitto: fu uno dei peggiori momenti della mia vita. I miei erano seduti davanti in stato d’ansia, io ero dietro, sdraiata sulle gambe di mia nonna. C’era traffic sul Raccordo, il Papa doveva tenere un discorso o qualcosa del genere; eravamo bloccati in  macchina.

Un vigile urbano si affacciò al vetro della macchina, mi vide in quello stato e concesse a mio padre di proseguire nella corsia di emergenza. Arrivai in ospedale in uno  stato pietoso; il mio braccio era troppo sottile, così l’ago della flebo fu infilato nella mano. Trascorsi il resto di quella giornata che ricordo come la peggiore della mia vita in  stato di dormiveglia. Non ricordo chi altro ci fosse oltre ai miei o a mia nonna, non  ricordo cos’altro successe, ma ricordo chiaramente la sete, e le mie suppliche per bere qualcosa nei rari momenti di lucidità. I miei primi, incerti passi assieme al diabete sono stati dolorosi e difficili, ma la mia famiglia mi è stata sempre accanto, senza lasciarmi  mai, e siamo stati aiutati da persone meravigliose.

Abbiamo dovuto studiare ed imparare tanto, e non è stato semplice: la frustrazione, la rabbia post esordio sono reali, e sono fra gli ostacoli più feroci da affrontare e superare. Ho pianto, ho avuto paura, mi sono sentita uno scherzo della natura: ma non mi sono mai sentita sola nel mio percorso, e  questo ha fatto sì che riuscissi a fare pace con la mia patologia. In un certo senso, il  giorno in cui mi hanno diagnosticato il diabete sono morta davvero: per poi, il giorno dopo, rinascere come una fenice dalle ceneri. Quello che dicono sul toccare il fondo dell’abisso è vero: dopo, non puoi che risalire. 

Cosa ti piacerebbe modificare della vita con il diabete? E cosa ti ha insegnato questa vita con il diabete?

A volte mi piacerebbe possedere la costanza e la determinazione di chi riesce ad  ottenere un grafico glicemico del 100% in range: vivo la mia patologia con tranquillità e  senza paura di eventuali iperglicemie per la maggior parte del tempo, ma a volte la  frustrazione prende il sopravvento e trovo davvero difficile rimettermi in carreggiata.  Ecco, la pazienza nel gestire il diabete è senz’altro qualcosa che mi manca e che desidererei possedere. Se c’è qualcosa che Mr D mi ha insegnato, però, è la flessibilità e  la capacità di adattarmi ad ogni situazione. So per certo che essere troppo severi con sé stessi e gestire con eccessiva rigidità la patologia tentando di tenere tutto quanto sotto controllo è deleterio e danneggia irrimediabilmente l’equilibrio fra salute fisica e salute  mentale.

La cosa migliore che possiamo fare per noi stessi è guardare in faccia la realtà  ed accettare il fatto che non è possible controllare tutto. Be soft on yourself. 4. Ho avuto molti momenti di stanchezza nei miei quasi 15 anni di diabete: è normale, non  può esistere una gestione perfetta 24/7 della glicemia. Il burnout e il distress da diabete,  del resto, sono largamente diffuse fra i diabetici su scala globale: effetti collaterali, più  che sintomi. L’ultima volta in cui mi è capitato di provare un sentimento, che più di  stanchezza era frustrazione, esaurimento, angoscia, è stato a inizio Novembre, di notte: ho cominciato con una glicemia a 300 che non scendeva, e anzi, continuava ad  aumentare fino a raggiungere la spaventosa cifra di 450 mg/dl. Continuavo a  somministrare shot di insulin da microinfusore, ma niente, non sembrava funzionare.  Ho passato la nottata intera in iperglicemia, prima di capire che la cannula del micro si  era spostata, e che quindi nessuna delle unità che pensavo di avere in circolo era  effettivamente entrata.

Dopo aver cambiato il set difettoso, ho pianto per circa un’ora  buona; vulnerabilità, stanchezza, angoscia, sono sentimenti viscerali che ti colpiscono  senza tregua, in queste situazioni. Ho passato l’intera giornata con le conseguenze delle  iperglicemie notturne, con nausea, emicrania, poliuria, polidipsia, senso di fatica, ma la  cosa peggiore è stata sicuramente guardare in faccia le mie paure peggiori senza poter  scappare. È stata una nottata spaventosa, ma è passata anche quella, per fortuna.

Oltre al diabete, cosa ci puoi raccontare della tua vita? 

Mi piace questa domanda: cosa sono, oltre ad essere una persona affetta da diabete T1?  Dunque, sto attualmente finendo gli studi della magistrale di Linguistica Moderna, e sto  preparando alcuni bambini per degli esami di inglese contemporaneamente. E’ un bel  cambiamento, dopo aver vissuto per tre anni a Londra – dove ero nel settore  dell’hospitality, che amo ancora molto e in cui spero ancora di poter lavorare in un  futuro. Vado regolarmente in palestra, per sopperire alla mancanza di movimento  dovuta allo studio e al lavoro (non sono affatto il tipo di persona a cui piace la  sedentarietà, e stare ferma mi annoia e pesa davvero tanto), e ho una gatta, Darcy, che  adoro e che è guest star fissa nei miei profile sui social network.

Adoro camminare nella  natura con le cuffie nelle orecchie, o visitare luoghi d’arte, andare al ristorante, e  partecipare a degustazioni di vino. Scrivere è una delle mie passioni più grandi: ho un  intero file sul mio laptop di bozze di racconti brevi dark che magari un giorno avrò il  coraggio di pubblicare, chissà

Pensi che la societá è informata sul diabete di tipo 1? Che cose ti piacerebbe che la gente sappia?

La società è di sicuro più informata sul diabete di quanto non fosse all’epoca del mio  esordio, nel 2007, ma non è ancora abbastanza. Il lavoro d’informazione e  sensibilizzazione che si sta facendo recentemente soprattutto sui social è davvero  notevole: la community diabetica è sempre in crescita, e trovo fantastico che molte delle  persone che ne fanno parte (me inclusa, nel mio piccolo) abbiano deciso di aprire un  profilo, specialmente su Instagram, dove ho riscontrato attività maggiore, in cui parlano  apertamente della propria patologia e offrono supporto e solidarietà a persone appena passate da quella tempesta che è l’esordio, o che ci sono passate indirettamente, come i  genitori dei piccoli T1. Trovo che tutto ciò sia meraviglioso.

Purtroppo però, come già  accennavo, non è abbastanza: ci sono moltissimi miti da sfatare, pregiudizi da abbattere,  e a volte l’ignoranza ferisce più di qualsiasi altra cosa: ricordo di aver letto commenti  davvero crudeli riguardo l’abitudine di fare l’insulina in pubblico, o di quanto sia  spiacevole vedere microinfusori e sensori esposti, e cose del genere. Una volta ho  persino letto, sotto un post che parlava di costi delle terapie intensive dei no-vax, una  persona che aveva commentato chiedendo quanto costasse l’insulina per i diabetici,  visto che, parole sue, continuava a vederli abbuffarsi di junk food, e quindi, secondo il  signore in questione, la questione era la stessa e bisognava smettere di passare insulina  ai diabetici.

Sono rimasta agghiacciata, e per questo vorrei che si promuovesse un  lavoro di sensibilizzazione su larga scala non soltanto sui social network, ma ovunque;  mi piacerebbe che le persone conoscessero la differenza fra diabete di tipo 1 e 2, e che  comprendesse che no, non viene perché si mangia male o si consumano troppi dolci, e  che non si può far nulla per guarire, attualmente. Inoltre proporrei ostracismo sociale  per chiunque proponga ad un diabetico erbe o integratori naturali per guarire (sto  scherzando, ma capita sempre più spesso). 

Cosa puoi dire a una mamma che ha appena ricevuto il diagnostico di suo figlio?

Vorrei poterle dire ciò che avrei voluto tanto qualcuno dicesse a mia madre: non è colpa  tua, e anche se pensi di non essere forte abbastanza per entrambi, lo sarai, e non dovrai  esserlo per sempre. *l* tu* bambin* starà bene, e crescerà san*, diventerà indipendente  e scoprirai che è più forte di quanto sembri. Anche se ora sembra difficile, diventerà  presto quasi un’abitudine; siete su questo percorso insieme, e malgrado tu sia  spaventata, devi lasciargli la libertà di vivere e scoprire il modo da sol*, come merita,  man mano che acquisterà consapevolezza. Crescerete insieme; e tu non puoi fare altro  che rimaner*l* sempre vicino, e sostenerlo e supportarlo ogni qualvolta ne avrà  bisogno. Andrà tutto bene, anche se adesso sembra la fine del mondo: non lo è. Ha  soltanto bisogno di un pancreas portatile. 

E cosa puoi dire a un/a giovane che é stato/a appena diagnosticato/a?

*l* direi che la sua vita non è finita: è cambiata, certo, e sta per cambiare in maniera  drastica, ma non è la fine di tutto quanto. Ci sarà tanto da imparare e da studiare, ma  starà bene: riuscirà ancora a fare tutto quello che aveva programmato prima del diabete,  solo con qualche piccola accortezza in più. Potrà ancora mangiare dolci, solo dovrà fare la conta dei carboidrati prima.

La vita come la conosceva prima della patologia non sarà  la stessa, è vero, ma non finirà: cambierà, e l*i si adatterà. Se c’è una cosa che il diabete  insegna, è la flessibilità; la capacità di adattamento verrà naturale. E che non è da sol*  in questo percorso: c’è un’intera community con cui confrontarsi e a cui chiedere  consiglio! Aggiungerei un’ultima cosa, forse la più importante: anche se non lo crede  possible, adesso, si scoprirà forte abbastanza da superare il trauma e il cambiamento di  vita. Non sai mai quanto effettivamente forte tu sia, finché non diventa l’unica scelta  che hai. 

Dove possiamo trovarti nelle reti sociali?

Scrivo e pubblico contenuti sul diabete e sulle mie esperienze personali con esso su  Instagram: @wutheringvals è il mio nick! Vi aspetto con piacere.

 

WRITTEN BY Estefanía Malassisi, POSTED 12/02/21, UPDATED 12/02/21

Mi chiamo Estefanía Malassisi. Vengo da Buenos Aires, Argentina. Mi trovate su instagram principalmente @estefiagos e su instagram @cuidardiabetes di CUI.D.AR Oggi sono una studentessa di medicina, come accennavo prima, sognando di essere una pediatra e una diabetologa infantile. Sono divertente, estroversa, con molto senso dell'umorismo. Mi piace ascoltare musica e stare all'aria aperta. Amo lo sport. Amo passare il tempo con i miei amici e la mia famiglia.